Fundraising per la politica: a cena con Obama
Riporto dal FattoQuotidiano on line del 18 giugno 2011, parte di un articolo di Roberta Festa:
“Vuoi incontrare il Presidente a cena? Paga almeno 5 dollari, e si può fare. E’ la sostanza dell’e-mail che molti sostenitori di Barack Obama si sono visti recapitare nelle ultime ore. Nel testo dell’invito, che si apre con un termine affettuoso (“amico”) il presidente spiega di voler invitare a cena alla Casa Bianca quattro dei suoi supporter-finanziatori. La serata, scrive, sarà “il tipo di occasione conviviale che non riesco a organizzare così spesso come vorrei”. Obama continua sottolineando il valore politico dell’invito: “Ti chiedo di credere nel tipo di politica che dà a gente come te un posto a tavola – che si tratti del tavolo per la cena o di quello dove vengono prese le decisioni sul tipo di Paese che vogliamo essere”. Quindi, dopo la richiesta di una donazione in denaro, l’e-mail si conclude con un semplicissimo: “Barack”.
Non è la prima volta che l’entourage di Obama ricorre al fascino personale del presidente per raccogliere fondi elettorali dai cosiddetti “small donors”, i piccoli finanziatori non legati ad alcun gruppo, società, interesse particolare. L’aveva già fatto durante la campagna elettorale 2007-2008, ma allora Obama era un semplice candidato alla presidenza, e non il presidente degli Stati Uniti. La mail non riporta luogo e data dell’evento, e neppure il modo in cui quattro i fortunati saranno scelti. Anche se si presume che la selezione avverrà per estrazione; previa, ovviamente, una donazione elettorale di almeno 5 dollari (e sino a 5.000 dollari).
Il “dinner with Barack” dimostra che la macchina per la rielezione del candidato democratico è ufficialmente partita. Decine di membri dello staff del presidente si sono ritrovati ieri in un hotel del centro di Chicago, per definire meglio obiettivi e strumenti della prossima strategia elettorale. C’erano, tra gli altri, il capo staff della Casa Bianca, Bill Daley, e Lawrence Summers, ex-supervisore economico di Obama. Durante la riunione è stato ancora una volta riaffermato l’obiettivo economico finale della campagna: più di 750 milioni di dollari. Nei prossimi tre mesi, la macchina elettorale del presidente dovrebbe mettere in cassa almeno 60 milioni.
Subito dopo la riunione è partita l’e-mail di Jim Messina, il campaign manager, destinata alle migliaia di sostenitori di Obama in giro per l’America. Anche qui la richiesta era quella di fare una donazione in dollari. Anche qui il tentativo, come già nel 2008, è stato quello di dare alla campagna di Obama un tono “popolare”, dal basso, in contrasto con i finanziamenti provenienti dai grandi gruppi economici: “Prendere soldi dai lobbisti di Washington o dai comitati di azione politica che promuovono interessi particolari è la strada più facile – ha scritto Messina – ma non è il tipo di campagna che vogliamo organizzare”.
Poco importa che anche nel 2008 Obama raccolse almeno un terzo dei suoi finanziamenti dai “big donors”, concentrati soprattutto negli studi legali, nelle banche d’investimento, nelle società immobiliari e nell’industria dello spettacolo. L’obiettivo, oggi come allora, è appunto dare l’impressione di un’onda spontanea e irresistibile, che porta alla Casa Bianca il presidente capace di ascoltare “la storia e le idee” dei semplici americani “su come far procedere il Paese” (frase riportata proprio nell’ “invito a cena”). La necessità di far cassa, soprattutto tra chi ha creduto e ancora crede nel mito del presidente, si è fatta del resto ancor più urgente negli ultimi mesi, di fronte a un parterre di sfidanti repubblicani economicamente agguerriti. Mitt Romney, l’ex-governatore del Massachussetts e in pole position per diventare l’avversario di Obama nel 2012, ha messo in cassa, in un solo giorno di marzo, ben 10 milioni di dollari.
In attesa di incontrare a cena i quattro fortunati vincitori del bingo elettorale, Obama non sta comunque fermo. In queste settimane gira gli Stati Uniti, da una raccolta fondi all’altra. Era in Florida, nei giorni scorsi, e quindi a Porto Rico, primo presidente americano in visita dai tempi di John Fitzgerald Kennedy. Gli abitanti dell’isola l’hanno ricevuto con entusiasmo, nel mezzo del dibattito sul loro futuro: restare territorio “incorporato” agli Stati Uniti, o preferire l’indipendenza? Barack Obama li ha ascoltati, ha spiegato che gli Stati Uniti accetteranno le decisioni dei portoricani. Poi, tanto per cambiare, ha organizzato una cena di raccolta di fondi elettorali.”
I commenti sono chiusi.