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Fundraising per la politica n°128 : triste storia del finanziamento pubblico

Il taglio del finanziamento pubblico ha portato, nel nostro Paese, al quasi azzeramento dei finanziamenti statali ai partiti (esiste ancora il finanziamento comunitario). Questo vuol dire meno fondi per la gestione ordinaria e meno fondi per il sostegno di candidati alle elezioni locali, regionali, nazionali ed europee. All’abolizione doveva seguire, secondo il governo Letta, l’introduzione del fundraising e in particolare di strumenti come il 2 per 1000. Purtroppo il fundraising per la politica è ancora lontano dalle segreterie della maggior parte dei partiti.

Come funziona all’estero? Il finanziamento o il co-finanziamento pubblico si basa su alcuni capisaldi: assicurare la sostenibilità del sistema partitico, promuovere l’accesso equo alla politica, promuovere l’accesso alla comunicazione, garantire la trasparenza e la rendicontazione dei conti, regolare il rapporto con le lobbying.

Perché in Italia abbiamo avuto il finanziamento pubblico? L’idea , comune al 95% dei Paesi del mondo che ancora hanno attivo questi tipo di sostegno, è che attraverso i soldi pubblici i partiti potessero “formare” gli elettori, garantirne una corretta informazione attraverso i media e consentire ai partiti di restare indipendenti.

Il finanziamento pubblico è stato ideato per permettere ai cittadini di scegliere il proprio candidato in maniera libera e consapevole.

Dopo la seconda guerra mondiale il pianeta era diviso in due blocchi: Stati Uniti e URSS. Le due potenze sostenevano, in Italia e nel resto d’Europa, le rispettive correnti politiche. Il finanziamento dei partiti nasce quindi proprio per supportare il confronto tra i blocchi: Democrazia Cristina e Partito Comunista in primis.

Nel nostro Paese, il finanziamento ha avuto fasi alterne e alcune volte si è anche “mascherato”. Lo è stato nel caso delle partecipazioni statali nell’industria nazionale. Parliamo degli anni 50′. Una cassaforte pubblica in grado di sostenere, in maniera spesso non lecita, i partiti che ne avevano il controllo: fondi neri, fondi all’estero, tangenti e molto altro.

Va detto che il finanziamento consentiva però una comunicazione diffusa delle idee del partito e questo è stato assicurato dai c.d. giornali di partito: L’Unità, L’Avanti, il Secolo d’Italia, il Popolo, il Roma e molti altri. Giornali che spesso vendevano più copie dei quotidiani tradizionali.

Il finanziamento è cresciuto negli anni, purtroppo alimentato da malcostume e ruberie. Negli anni 70′ inizia l’ingrasso con l’aumento vertiginoso dei fondi ai partiti che poche volte si scontrerà con tentativi di porvi un freno, per lo più attraverso referendum.

Nulla cambia, passano gli anni e la fiduicia dei cittadini per la politica cala vertiginosamente toccando il 3%. Nel 2014 il governo Letta mette fine al finanziamento pubblico.

E’ morto Sansone con tutti i filistei.

In Italia, il costo delle macchine partitiche è stato considerevole. I bilanci dei partiti parlano chiaro: si è passati dai 51 milioni del 2010 ai 7 milioni del 2018. Molti partiti oggi sono fortemente indebitati, in tanti sono passati a licenziamenti, chiusure di sedi, riduzione di personale, cassa integrazione, riduzione delle comunicazioni e della formazione della classe dirigente.

Oggi il fundraising in politica è assolutamente necessario ma deve essere etico, possibile e trasparente. Il fundraising è l’unico sistema per mantenere la politica democratica e per restituirla ai cittadini. Non c’è altra via al ritorno del finanziamento o del co-finanziamento pubblico.

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