Fundraising per la politica: Kamala Harris e l’Italia
Riporto l’articolo di Sara De Carli pubblicato su Vita il 24 luglio 2024.
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Kamala Harris, la attuale vicepresidente degli Stati Uniti ormai chiaramente in corsa per la Casa Bianca, ha raccolto in 24 ore 81 milioni di dollari per finanziare la sua campagna elettorale. Il suo team in un comunicato ha spiegato che questo importo riguarda solo le donazioni effettuate da piccoli donatori, con quasi 900mila persone che hanno donato somme sotto i 200 dollari sulla piattaforma ActBlu. Si tratterebbe della più grande raccolta fondi realizzata in 24 ore da un candidato nella storia americana. Oggi siamo già a 100 milioni di dollari, ci aggiorna puntualmente lo staff.
In Italia, come sappiamo, le cose vanno molto diversamente. Forse però non immaginiamo quanto. Secondo i dati che annualmente il ministero dell’Economia e delle Finanze fornisce a VITA per l’elaborazione dell’Italy Giving Report, in tutto l’anno 2021 gli italiani hanno donato ai partiti meno di quanto Kamala Harris ha raccolto in un giorno: circa 70 milioni di euro (al cambio odierno sarebbero più o meno 75 milioni di dollari) contro i suoi 81 milioni di dollari in un solo giorno.
Le donazioni ai partiti? Valgono 70 milioni
I dati sono questi: nelle dichiarazioni dei redditi 2022 gli italiani che hanno portato in detrazione una erogazione a favore dei partiti politici sono stati 6.699, per un ammontare della detrazione pari a 18.123.752 euro. Poiché la norma riconosce una detrazione per le donazioni ai partiti pari al 26% dell’erogazione effettuata, per un importo compreso tra 30 e 30mila euro, a spanne possiamo affermare che nel 2021 gli italiani hanno donato ai partiti poco meno di 70 milioni di euro. Il trend è peraltro in caduta libera: nel 2011 gli italiani che avevano messo in dichiarazione dei redditi una donazione ai partiti politici erano stati 17.501, per un ammontare della detrazione pari a 43.076.078 euro, che ci permette di stimare donazioni, nel 2010, sopra quota 165 milioni di euro.
Gli italiani che destinano il 2 per mille sono 1,74 mln
L’altro dato della partecipazione degli italiani alla vita dei partiti attraverso il fundraising è quello delle firme per destinare il 2 per mille, introdotto nel 2013 dal governo Letta e approvato dal Parlamento con la legge 13/2014.
Gli italiani che nella dichiarazione dei redditi 2023 (anno d’imposta 2022) hanno scelto di mettere la loro firma per destinare il 2 per mille dell’Irpef a un partito politico sono stati appena 1,74 milioni, circa il 4% di chi presenta la dichiarazione dei redditi. Nulla a confronto con il 5 per mille, che ha raccolto 17,2 milioni di firme (vuol dire circa il 41% dei contribuenti) e dell’8 per mille, che ha raccolto 16,9 milioni di firme.
Per ogni 10 contribuenti che destinano il 5 per mille, quindi, uno solo destina il suo 2 per mille. I dati e la slide sono di Nicola Bedogni, coordinatore dell’Osservatorio 5-2-8×1000 dell’Associazione italiana fundraising, che cura anche annualmente un’analisi del 2 per mille. Grazie al suo lavoro, tra parentesi, vediamo un’altra notizia: il 5 per mille 2023 per la prima volta ha superato l’8 per mille per numero di adesioni, uno strumento ben più antico e conosciuto.
Nel 2023 con il 2 per mille è stato destinato un importo pari a 24,1 milioni di euro, vicino – ma sotto – il tetto fissato annualmente in 25 milioni di euro. Il Pd è il partito che raccoglie più firme (circa 531mila) e più soldi (8,1 milioni di euro), seguito da Fratelli d’Italia (348mila firme e 4,8 milioni di euro), quindi dal Movimento 5 Stelle (174mila firme e 1,9 milioni di euro) e dalla Lega per Salvini premier (92mila firme ma 1,1 milioni di euro, un po’ sotto Italia Viva che con meno firme della Lega prende più soldi). Nel 2014, al debutto del 2 per mille, gli italiani che lo scelsero furono solo 16.518 – pari allo 0,04% dei contribuenti – e destinarono 326mila euro.
Cosa dice all’Italia il boom di donazioni per Kamala Harris
Ma torniamo agli Usa e a Kamala Harris. Posto che qualsiasi confronto sarebbe semplicemente insensato, che spunti di riflessione possiamo trarre dal boom di donazioni che ha sorpreso gli americani stessi? Ne parliamo con Raffaele Picilli, fundraiser per la politica, fondatore di Raise the Wind, già autore di Fundraising e comunicazione per la politica e di Come raccogliere fondi per la politica (Rubbettino), che da poco insieme a The Good Lobby, Volt e Transparency International Italia ha elaborato e presentato il “Manifesto per il finanziamento privato della politica”.
Partiamo da una domanda: perché un italiano dovrebbe sostenere con una donazione un partito politico? A questa domanda non dico un cittadino, ma nemmeno la politica sa dare risposta. Da noi la politica è lontanissima dal raccontare come spende i soldi che ha raccolto, per cui il cittadino non riesce a capire a cosa servono i suoi soldi. Ai nostri partiti evidentemente i fondi dei privati cittadini non interessano perché hanno altri mezzi per portare avanti le strutture dei partiti e le campagne elettorali, altrimenti non si spiega il disinteresse generale per questo tema visto che la democrazia costa e le campagne elettorali costano, in tutto il mondo. Per le recenti elezioni europee, per esempio, solo +Europa ha fatto un appello chiaro alla donazione, gli altri non hanno fatto nessun appello o al massimo hanno rilanciato sui social un messaggio generico rinviando alla landing page di un sito web dove si chiede di donare 5, 10, 20 euro, senza nessun rapporto tra la cifra e il progetto sostenuto. A che servono quei 20 euro? Come verranno utilizzati? La politica non conosce le basi del fundraising e così si condanna a raccogliere monetine. D’altra parte i numeri del 2 per mille sono quelli che conosciamo: su 41 milioni di contribuenti, solo il 4% ci mette la firma. Quelli che destinano il 5 per mille sono il 40-41%.
Sostenere la politica è una cosa che sta nel dna degli americani e non si tratta solo di dire che culturalmente c’è una grande differenza fra noi e loro o che i sistemi di finanziamento ai partiti sono molto diversi. Gli americani sono più abituati di noi al giving in generale e credono molto nella politica: dicono “il mio deputato”, un’espressione che noi italiani non usiamo mai. C’è grande partecipazione alla vita politica e il fundraising è uno dei pilastri della partecipazione. I partiti americani e i politici americani, quando parlano spesso parlano proprio di donazioni. Guardiamo quel che è successo in queste ore con Kamala Harris, prima ancora di parlare di programmi il suo staff cosa ha fatto? Ha parlato di donazioni, comunicando che i fondi stavano arrivando e stavano arrivando in maniera rilevante. Questo è implicitamente (ma neanche troppo) un modo per affermare che le persone credono in lei. Ricevere donazioni è due volte importante per i politici americani: ovviamente perché i fondi sostengono la campagna elettorale ma non secondariamente perché le donazioni dimostrano appoggio, partecipazione, sostegno. Una persona che dona, sicuramente è una persona che vota. Chi dona fondi a un candidato, sta sostenendo un programma elettorale. Da noi invece i programmi elettorali sono libri che nessuno legge, non sono costruiti per il cittadino: al cittadino che non è messo nelle condizioni neanche di capire esattamente quale sia il programma elettorale… ovviamente non viene in mente di sostenere con una donazione le persone che dovrebbero portare avanti quel programma.
Il tema quindi è la partecipazione? E il fund raising in politica forse più che in altri ambiti va di pari passo con il people raising?
Esatto. Manca la partecipazione. Vedi anche il livello di tesseramento. Quante sedi territoriali dei partiti sono state chiuse negli anni? Tutti i partiti si sono dimenticati della lezione di Fanfani che nel 1954, da segretario della Dc, disse che il partito doveva arrivare ad avere una sezione in ogni comune che avesse la stazione dei Carabinieri. Oggi i partiti non hanno più sedi ed è ovvio che così la partecipazione crolli.
Perché avete lanciato il “Manifesto per il finanziamento privato della politica”?
Perché è un tema cruciale, anche se non se ne parla mai. Perché la politica ha dei costi e il funzionamento del nostro sistema democratico dipende anche da come i partiti riescono ad avere le risorse economiche di cui necessitano. Perché è importante sapere chi e come finanzia i partiti. Noi oggi non abbiamo un codice etico che regola le donazioni ai partiti e questo è grave, perché io vorrei sapere da chi prende soldi un partito. Gli Usa sono molto lontani dall’Italia, però il loro sistema di finanziamento alla politica può essere di insegnamento, perché sono riusciti a risolvere tanti problemi, a cominciare dai conflitti di interesse con le aziende. È un tema che abbiamo anche noi, come abbiamo visto di recente: evitare che il singolo candidato deve dire grazie a qualcuno, che passerà a “riscuotere” questa gratitudine una volta che il suo candidato è stato eletto. Bastano due paginette.
Era meglio quando si stava peggio, con il finanziamento pubblico dei partiti?
Sapendo che i numeri del finanziamento privato sarebbero stati questi, forse avremmo dovuto pensarci meglio prima di abolire il finanziamento pubblico ai partiti… Probabilmente la soluzione sarebbe un sistema misto alla tedesca, dove lo Stato finanzia i partiti con fondi pubblici però i partiti devono fare fundraising e lo Stato “moltiplica” quello che i partiti riescono a raccogliere. Ma la prima cosa oggi è approvare un codice etico per le donazioni ai partiti.
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