I segreti dei charity shop: quando il fundraising (e non solo) si fa con libri, gioielli e vestiti usati
Di Carla Lotti
I charity shop, negozi dedicati alla vendita di oggetti di seconda mano come vestiti, articoli per la casa, libri, gioielli e accessori, con l’obiettivo di raccogliere fondi per cause benefiche, stanno prendendo piede anche in Italia ma sono nati e si sono diffusi in particolare nei paesi anglosassoni. E lì siamo andati a vederli durante la nostra Fundraising Study Visit a Londra.
I beni venduti, seppure frutto di donazioni, vengono accuratamente selezionati ed esposti nei negozi secondo criteri commerciali. Gli articoli vengono messi in vendita se sono in buone condizioni e interessanti per i potenziali acquirenti. Molti charity shop organizzano anche eventi speciali o vendite tematiche, come aste di oggetti vintage o serate dedicate alla moda sostenibile.
Ecco, l’abbiamo detto! I charity shop stanno diventando sempre più rilevanti sia nel campo del fundraising che in quello della sostenibilità. L’aspetto ecologico è importante. I charity shop promuovono la sostenibilità e l’economia circolare, un concetto sempre più importante per combattere il consumo eccessivo e lo spreco. Quando i consumatori comprano di seconda mano contribuiscono a ridurre la domanda di prodotti nuovi, risparmiando risorse naturali e limitando l’inquinamento legato alla produzione e allo smaltimento dei rifiuti. È dunque interessante notare come i charity shop abbiano anche un forte impatto sociale: oltre a raccogliere fondi, favoriscono il riuso, contribuendo a ridurre lo spreco.
Cosa spinge le persone a fare acquisti nei charity shop? Per molti la possibilità di trovare oggetti unici a prezzi accessibili è irresistibile e questo tipo di shopping è una specie di caccia al tesoro. Un libro raro, un gioiello d’epoca, una borsa di marca… e allo stesso tempo si contribuisce al finanziamento delle attività di organizzazioni umanitarie. Why not?
Specialisti in UK, dove Red Cross, Octavia Foundation, Oxfam o Cancer Research UK, solo per fare qualche esempio, da tempo utilizzano i charity shop per raccogliere risorse. Quando questi fondi sono destinati a progetti locali si crea anche un legame speciale con la comunità.
I charity shop stanno contribuendo a promuovere un cambiamento di mentalità verso il consumo: con l’aumento della consapevolezza ecologica e la crescente sensibilità verso il consumo etico, sempre più persone vedono l’acquisto di seconda mano non solo come una scelta economica, ma come una decisione responsabile e sostenibile.
Nella nostra Fundraising Study Visit a Londra è apparso chiaro quanto si possa ancora fare e che il potenziale di crescita in Italia è ancora ampio.
I charity shop, con una logica che man mano andrà rivista e attualizzata per attrarre un pubblico sempre più ampio, potranno assumere un ruolo ancora più importante sia per il loro contributo sociale e di sostegno alle iniziative umanitarie sia per il loro impatto ambientale.
A Londra ne abbiamo viste…
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Per partecipare alla prossima edizione della Fundraising Study Visit (qui trovi il racconto della prima edizione) oppure per avere maggiori informazioni sui programmi di sostegno per il fundraising e people raising in ambito culturale puoi scrivere a Raffaele Picilli info@risethewind.it o a Carla Lotti info@easymuseum.it
Per approfondire il tema del fundraising per i luoghi della cultura puoi leggere: Raffaele Picilli e Gabriele Granato, “Fundraising e marketing per i musei”, “L’inestimabile valore: marketing e fundraising per il patrimonio culturale” o “I musei salveranno il mondo: i venti migliori musei per accessibilità, fundraising e marketing” per Rubbettino Editore.
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