Ogni tanto, mi capita di dover andare dal dottore. Non dal medico di base, ma dallo specialista che, giustamente, a fine visita deve essere pagato. La prossima volta ho una serie di proposte da fargli:
1) “Dottore, se la sua cura funziona, la pago, altrimenti niente.”
2) “Dottore, compro anche il costosissimo medicinale che mi ha prescritto, ma se la cura non funziona (perché magari mi dimentico di prendere le pillole ogni 8 ore) lei mi restituisce i soldi? “
3) “Dottore, ma chi mi assicura che guarirò?”
4) “Dottore, un suo collega mi ha chiesto 50 euro per la visita, lei 100, perché?”
A mio avviso, i fundraiser italiani dovrebbero trovare il modo di illustrare, a priori e in maniera corretta, il loro modus operandi. In giro ci sono troppi..chiamiamoli “improvvisatori”… ma questo il cliente non lo può sapere..Diamoci linee guida certe, in modo da aiutare il cliente a capire chi siamo e come lavoriamo. Bisogna fare la differenza tra chi millanta di fare fundraising e chi invece fa (poco e male) solo raccolta di fondi.
Concordo nel modo più assoluto! Anche a me succede – di frequente, aggiungo – di essere contattata e ricevere una proposta di lavoro totalmente su base percentuale. Di solito la motivazione è che l’organizzazione è senza fondi di nessun genere.
Rispondo anch’io spiegando i motivi per cui non ritengo etico lavorare a percentuale – non che ci sia nulla di male ma è un tipo di compenso valido per altre professioni – e, ad oggi, ho sempre trovato persone che hanno reagito dicendomi di non aver mai considerato la questione sotto questo punto di vista.
Il che mi indice a due riflessioni:
1. quanto poco si sappia del Fund Raising – come dici tu – non improvvisato;
2. quella che a prima vista potrebbe sembrare una strategia da parte delle onp è, almento nella mia esperienza, un approccio in totale buona fede (cosa che mi fa enormemente apprezzare le persone che ho di fronte).
Sono d’accordo nell’inserire questo aspetto nel Codice Etico di Assif e nel renderlo un modus operandi condiviso da chi fa FR: mi sembra il modo più corretto e trasparente per tutelare se stessi, le organizzazioni e i donatori.
SImona
Cara Simona, hai ragione. Bisogna passara ai fatti. Una buona campagna mediatica potrebbe essere la giusta soluzione. Basterebbe un “manifesto”, oppure un mini “codice” da far girare sui siti e sui blog che parlano di fundraising. Chi cerca consulenze, dovrebbe poterlo trovare facilmente, leggero e capire cosa facciamo e come lo facciamo.
Sicuramente ne parleremo ancora e cercherò l’appoggio di altri colleghi.
Buon lavoro!
Raffaele
Anche io credo che sia necessario intervenire. Troppa confusione, troppi giovani colleghi che dopo aver finito gli studi (su certi master ci sarebbe molto da dire) si lanciano sul mercato e lo fanno senza esperienza e accettano di tutto. Una volta si andava a bottega, oggi si preferisce improvvisare. La teoria senza la pratica serve a poco. Se organizzate qualcosa, io ci sono.
Mariangela
Grazie, Raffaele, era esattamente quello a cui mi riferivo: una “citazione” del concetto da far girare sui siti o qualcosa di simile.
E’ un discorso da approfondire, sicuramente ci sarà modo di farlo.
A presto!
Simona
Ciao, si potrebbe cominciare a buttare giù un po’ di FAQ. Che ne pensi?
Direi: il fundraising e la raccolta di fondi: differenze. Il fundraising e le sponsorizzazioni: differenze. Il lavoro del fundraising: compenso fisso e a percentuale.