Vorrei prima fare una breve considerazione. A mio avviso, fare ricerca non è facile. Ci vuole tempo, professionalità, tanti soldi, metodo e numeri. La questione mi tocca da vicino perchè, insieme al Centro Studi sul Non Profit, ho già pubblicato due ricerche comparative: il fundraising e il people raising per la Sanità e per la Politica…e assolutamente non sono state facili, soprattutto perchè erano ricerche comparative e questo ha richiesto viaggi negli Stati Uniti e nel Regno Unito. Non so quanto siano valide, non spetta a me dirlo. Il nostro scopo era semplicemente quello di aprire nuovi orizzonti e dimostrare che il fundraising in Italia può essere utilizzato proficuamente in settori che oggi, quasi non lo “vedono”: politica, sanità… ma a pensarci bene anche musei, aree archeologiche, scuole, università..ecc.. Come dice Massimo: lo scopo di una ricerca è quello di conoscere meglio per decidere cosa fare. Ed è per questo che condivido a pieno quando da lui scritto nell’articolo. Una ricerca non si fa per dire: io esisto o io sono credibile…finisce che poi accade con il contrario.
Massimo cita anche Assif e quindi mi sento chiamato in causa sia come socio sia come Vice Presidente (insieme ad Alessandra delli Poggi). Lascio però la risposta al suo quesito al nostro Presidente.
Ecco l’articolo:
“Mi spiace davvero, ma questa volta non posso proprio commentare positivamente la ricerca dell’Istituto Italiano della Donazione. E non riesco neanche ad essere diplomatico.
Mi spiace perché la ricerca sul fund raising in Italia è poca ed episodica e quindi bisognerebbe apprezzare ogni sforzo fatto, incluso quello dell’Istituto Italiano della Donazione che più volte ho invitato con piacere alle conferenze dedicate alla ricerca che ho condotto durante il Festival del Fundraising.
Non posso proprio commentarla positivamente per due motivi specifici: il primo è che è costruita su una base statistica e scientifica molto debole, come ha già fatto notare Valerio Melandri commentando l’articolo di Vita. Non è la prima volta che noi fundraiser poniamo l’accento su questo aspetto che a questo punto non può più ritenersi secondario. Con tutto il rispetto dico all’IID che non basta affermare in premessa che il campione non ha valore statistico ma che comunque è significativo. Innanzitutto, se parliamo di ricerca scientifica, gli intervistati non compongono un campione ma solo un insieme di rispondenti. Un campione in ricerca scientifica, deve permettere inferenze ossia rendere possibile il desumere dal campione stesso un’informazione relativa all’intera popolazione. Per fare un campione esistono tanti metodi (cfr. campioni su wikipedia) . Quello usato da IID non rientra tra questi.
Dare interpretazioni generali su un aspetto così importante come le donazioni senza rispettare il rigore scientifico della rappresentatività non è una piccola mancanza ma un grande rischio. Soprattutto per chi, dalla ricerca, dovrebbe trarre indicazioni per operare delle scelte.
Il secondo motivo è che da almeno tre anni io, ma credo anche altri fundraiser, abbiamo offerto la nostra collaborazione all’IID apprezzando il loro impegno (io l’ho fatto personalmente più volte alla Presidente Guidotti e ai suoi collaboratori) per migliorare l’impianto della ricerca conoscendo quelle che sono le necessità dei fundraiser. Eppure questa offerta non è stata mai concretamente raccolta. Che io sappia l’Assif, che pure ha patrocinato la ricerca, non ha avuto modo di entrare nel merito dell’impianto della ricerca e degli strumenti di indagine.
Mi domando anche se gli altri patrocinatori, tra cui CSVnet, Forum III settore e i finanziatori Cariplo e Compagnia di San Paolo, siano contenti del risultato in termini di conoscenze scientifiche acquisite. Eh si! Perché una ricerca sulle donazioni serve a prendere decisioni che in questo momento riguardano il futuro delle organizzazioni e più in generale la sostenibilità del welfare sociale. E questa indagine spinge a prendere decisioni su conoscenze che non hanno rigore scientifico. E’ un rischio che non si può correre.
Ed è per questo che invito i fundraiser e i dirigenti non profit a non prendere decisioni sulla base di questa ricerca. Così come invito i donatori e i protagonisti del non profit e quindi anche Vita a non produrre automaticamente rappresentazioni della realtà basate su questa ricerca.
Eh sì, perché in Italia spesso basta dire che si è fatta una ricerca per accreditare una rappresentazione della realtà. E io non credo che si possa dire che il 2011 sia stato l’annus horribilis della raccolta fondi. Così come non si può dire, sempre sulla base dei dati forniti, che c’è stato un calo dei donatori. Potrebbe essere, ma non lo si può affermare basandosi sui risultati di questa ricerca.
Dico tutto ciò per alcune ragioni specifiche e precise.
1 – La base non è statisticamente valida e neanche significativa per rappresentatività generale, né per ambito tematico di intervento e tipologia di progetti, né per tipo di fund raising realizzato nè per dimensione delle organizzazioni. Ricordiamoci che l’88% del non profit è fatto di piccolissime organizzazioni mentre le 180 rispondenti probabilmente (se ci dicessero i nomi delle organizzazioni rispondenti potrei darvene la certezza) sono di medie grande dimensioni. Se almeno si fosse fatto un raffronto con i dati censimentari Istat del Non profit si sarebbe potuto capire se e quanto questa indagine sia significativa.
2 – La valutazione dell’andamento economico delle donazioni si dice che è preso dai bilanci. Come si sa i bilanci sono fatti con criteri differenti soprattutto sulle donazioni individuali e su quelli provenienti da aziende (sponsorizzazioni, donazioni, acquisto di servizi, ecc….). In ogni caso non conosciamo i criteri e la metodologia di analisi dei bilanci. Se questi dati non sono estratti direttamente dai bilanci probabilmete sono stati forniti dalle organizzazioni. E non è detto che siano stati espressi con il medesimo criterio. Se la base di analisi è il bilancio e in quel bilancio rientrano tra le entrate fondi che sono stati maturati nell’anno precedente (come nel caso della reale distribuzione dei proventi del 5 per 1000) noi avremmo dati di bilancio ottimi ma dati sull’andamento delle donazioni pessimi.
3 – La ricerca e le varie note stampa e articoli traggono tutti una conclusione univoca: crolla la raccolta fondi. Una cosa del genere si potrebbe dire solo intervistando i donatori e sapendo quanto hanno donato. La cosa andrebbe detta almeno in questi termini: per il 4% delle 180 organizzazioni intervistate ci sono state minori entrate nel 2011 rispetto al 2012. Ora non credo proprio che si possa parlare di crollo delle donazioni! Potrei anche sospettare, visto che il campione non è statistico, che le donazioni sono diminuite per quelle organizzazioni intervistate e siano aumentate per le altre 400.000 organizzazioni non intervistate! Si accentua il dato delle organizzazioni che hanno subito una flessione nelle entrate senza invece dare valore al dato che ben il 33% delle organizzazioni mantiene lo stesso livello di entrate del 2010. Ora mantenere le entrate in un periodo di crisi economica è un dato di straordinario valore (sempre “sub judice” visto che il campione non è statistico). Si giustifica l’affermazione del crollo delle raccolte fondi con il fatto che il 17% delle organizzazioni non vede aumentare le entrate. Ma scusate un attimo, non aumentare le entrate non vuol dire andare male per forza! Mica si può crescere sempre! Soprattutto in un periodo di recessione. Insomma mi sembra veramente un eccesso interpretativo dire che stiano crollando le raccolte fondi.
4 – Non viene valutato bene il mercato delle fondazioni in quanto si confondono quelle bancarie con quelle private di altro genere. In Italia il mercato delle fondazioni bancarie ha un peso molto rilevante e pertanto il dato circa il flusso finanziario dalle fondazioni è ambiguo per definizione. Mi fa specie che si commetta tale errore in una ricerca che è finanziata proprio dalle Fondazioni bancarie…. E se fossi una Fondazione non bancaria, probabilmente non accetterei il fatto che la mia identità non venga riconosciuta. A questo punto è lecito domandarsi se le Fondazioni che donano di meno (come dice la ricerca) siano quelle bancarie o le altre….
5 – Vi è una continua confusione (forse legata all’esposizione dei dati nelle tabelle) tra entrate delle organizzazioni e raccolte fondi. Se ho capito bene le raccolte fondi riguardano solo aziende e individui, mentre le entrate comprendono anche P.A. e Fondazioni. Innanzitutto non capisco come si possano togliere dalla raccolta fondi le Fondazioni. Io non so se la Fondazione Vodafone, ad esempio, o la Fondazione Umana-Mente quando fanno donazioni non abbiano la sensazione di essere donatori ma piuttosto un’amministrazione comunale! Però quando si parla della generosità dei “donors” si include la P.A: che notoriamente non è un donatore ma un finanziatore che è legato ad altre dinamiche. Le P.A. risultano essere i donatori che maggiormente hanno diminuito le donazioni. Eppure sono i donors più generosi nel primo semestre 2012! Ma di cosa stiamo parlando? Dell’incidenza delle diverse fonti di finanziamento sul bilancio di un’organizzazione? Oppure della effettiva erogazione di soldi da parte di queste fonti? La generosità sarebbe il frutto della quantità di donazioni, non della incidenza di queste sui bilanci! Sono costretto a fermarmi qui, perchè altrimenti risulterei noioso nel segnalare le tante altre incongruenze
6 – Le ragioni del (presunto) forte decremento delle donazioni sono frutto delle opinioni dei dirigenti delle organizzazioni non profit intervistati. Ora per prendere in considerazione delle opinioni dovrei presupporre che tali opinioni si siano formate sulla base di una analisi oggettiva e scientifica. Ma chi ha risposto alle domande ha fatto una ricerca sui reali motivi del decremento delle donazioni? Il 43% di coloro che dicono che le donazioni sono diminuite, lo affermano perché lo hanno chiesto ai loro donatori? Ho qualche dubbio. Ho invece quasi la certezza che diano questa spiegazione perché orami è passata la linea che i donatori sono poveri e anche un po’ ingenerosi e quindi donano di meno. Faccio notare che altre indagini, basate sull’opinione dei donatori mettono in evidenza altre ragioni: il 42% di coloro che donano meno afferma che non è per la crisi economica. (Fonte: IPR mktg per citarne una), scarsa rendicontazione, scarsa efficacia e utilità sociale di quello che si fa, scarse informazioni e mancato coinvolgimento nella organizzazione (Ricerca Vita Contact Lab 2012) , ecc.. Per Vita Contact Lab inoltre la crisi economica ha influito sulle donazioni solo per il 24% dei donatori. Anche per i non donatori le ragioni che spingono a non farlo sono per il 45% non economiche. Insomma se l’opinione dei dirigenti delle organizzazioni è così diversa dai dati oggettivi, qualche problema c’è nei sistemi di conoscenza sui donatori. Di questo non si dice nulla. Anzi si usano le opinioni dei dirigenti come base scientifica per un’indagine che dovrebbe dire se si dona di più o no e perché. Ci si limita a dire che il decremento è legato principalmente alla crisi economica.
Più in generale sono veramente stupito del fatto che le differenti ricerche effettuate sulla raccolta fondi portino a dati così contrastanti e ambivalenti. Per una ricerca sembra che i donatori tengano, per un’altra crollano. Per alcune è la crisi economica, per altre è il problema della perdita di efficacia del non profit.
Sembra quasi che lo scopo di una ricerca è quello di poter dire: ho effettuato una ricerca, quindi sono credibile. Mentre invece lo scopo di una ricerca è quello di conoscere meglio per decidere cosa fare. Credo, quindi, che vada riaffermato con forza il principio della responsabilità sociale dei ricercatori. Chi fa ricerca e diffonde i dati deve essere guidato da un forte senso di responsabilità.
Su un altro versante le organizzazioni di secondo livello dovrebbero creare subito un tavolo in cui concertare una politica comune sulla ricerca per il fund raising. Una politica che orienti tutti ad una strategia comune all’interno della quale poi ciascun istituto porti avanti i suoi talenti, i suoi interessi e le sue peculiarità ma all’interno di una missione comune che è oggi di grande importanza. Consapevoli che un sistema di fund raising può essere forte solo se si investe in ricerca. Questo tema l’ho proposto più volte durante il Festival del Fundraising spronato in questo dal mio collega Melandri. Ma devo dire che la risposta a questi appelli è stata pressoché nulla. Forse è il caso di andare a vedere quanto e come si investe in ricerca sul fund raising in USA o UK. Allora si capirà meglio perché in quei Paesi il fund raising è forte.”
Grazie mille per la citazione e per il tuo impegno nel campo della ricerca.
Massimo
Ciao Raffaele, condivido il tuo pensiero e per onestà e trasparenza, ti copio e incollo la risposta che ho dato a Massimo sulla sua rubrica su Vita.it
“Ciao Massimo, quello che evidenzi è un problema reale. Condivido i tuoi pensieri ma, essendo membro del Consiglio di Assif, lascio al nostro presidente Zanin un eventuale approfondimento sul tema e sui modi della ricerca. Come il nostro collega Andrea Caracciolo, penso che ogni ricerca porti con sé informazioni utili, foss’anche solo per evidenziare le criticità da arginare. Detto questo, l’aspetto su cui punterei il dito, a condimento delle riflessioni addotte (e su cui naturalmente mi sento libera di intervenire) è il tipo di comunicazione utilizzata per informare. Mi preoccupa non poco il modo in cui si fa notizia e si dà notizia. Questo, appunto, perché si vuole creare notizia anche e dove forse notizia non c’è. Parlo, non a caso, di autolesionismo comunicativo che diventa controproducente e svilente. La parola comunicata va comunicata in modo corretto. L’esasperazione fine a se stessa produce solo altra esasperazione. Ne parlo qui: http://blog.vita.it/zanzarella/2012/09/24/nonprofit-e-analfabetismo-di-ritorno/
E’ un altro aspetto di cui amerei avere un tuo/vs parere.
Ciao e grazie.”
Che ne pensi?
Hai ragione Elena, concordo con la tua analisi:”… Mi preoccupa non poco il modo in cui si fa notizia e si dà notizia. Questo, appunto, perché si vuole creare notizia anche e dove forse notizia non c’è. Parlo, non a caso, di autolesionismo comunicativo che diventa controproducente e svilente.” . Credo che questa discussione “trasversale” sui nostri blog possa trasferirsi anche dal vivo, magari durante il prossimo Open Day di Assif.