Riporto parte di un articolo a firma di Alessio Sgherza, pubblicato su “Repubblica on line” del 28 novembre e riguardante le Primarie del Partito Democratico: “….cresce, infatti, il numero di quelli che, se il proprio candidato non è ‘eletto’, potrebbero non votare per il Pd alle successive elezioni politiche. Il dato è contenuto nell’analisi dell’osservatorio Questioni primarie. L’osservatorio ha analizzato i dati delle primarie del 2008, 2009 e 2012 e ha che l’andamento è inequivocabile. Ogni volta cresce il numero delle defezioni, in maniera più marcata tra i simpatizzanti che tra gli iscritti…quindi, l’elettore deluso potrebbe passare all’astensionismo o votare per un partito diverso…Nel 2013 i fedeli sono crollati e sono stati solo al 59% nelle politiche di quest’anno. Un dato più forte per i simpatizzanti (55%) ma non irrilevante tra gli iscritti stessi del Pd (74%)…”
Questo potrebbe voler dire:
- che un militante che si recherà a votare per le Primarie vincolerà il suo futuro sostegno economico al partito, all’“elezione” del candidato x, y o z. Come dire: “voto Renzi alle Primarie, ma se Renzi non diventa segretario, alle prossime elezioni non voto PD o non vado proprio a votare”.
- se l’analisi dell’Osservatorio è corretta, il voto alle Primarie (e quindi la partecipazione del sostenitore) è in parte disgiunto dalla “mission” e dal programma del partito
Lo scenario è sicuramente preoccupante e non solo per il PD…Il problema cardine, rispetto al fundraising e al people raising, sarà la fidelizzazione del “donatore scontento”…e non sarà facile trovare la strategia giusta in tempi brevi.
Analisi ineccepibile. Su questo i partiti dovrebbero ragionare in chiave fundraising. Ma anche sotto altri aspetti.
Grazie Massimo, ora vedremo cosa faranno.
Molto interessante, Raffaele!
Abbiamo collaborato alla campagna di coinvolgimento, creazione della rete e raccolta fondi (embrionale, ma ci hanno creduto!) per uno dei candidati alle primarie.
L’impressione, perlomeno quella colta da noi, è stata di una grande voglia di partecipare e di una sostanziale inesperienza nei meccanismi del coinvolgimento e della fidelizzazione, oltre che del collegamento tra richiesta di fondi e buona causa (se non in senso generale, del tipo: “se doni sosterrai il candidato…”. Ok, ma in che senso e per cosa lo sosterrò? Ecco, questo è il punto su cui ci siamo confrontati di più perché è stata la “novità” del lavoro fatto).
La strada da fare è molta, però – devo dirlo con molta onestà – è stato bello rivedere la passione e la voglia di cambiare, e soprattutto constatare i tanti ragazzi, anche molto giovani, che nella possibilità di cambiare ci credono sul serio (molto più di chi, come noi quarantenni, è disilluso).
Se ne riparlerà, di sicuro. Grazie per portare avanti il tema!
Simona
Ciao, grazie a te per seguire i miei post!
Devo dire che sicuramente il lavoro da fare è tantissimo…oggi serve seminare e portare la cultura del dono nella politica. Per questo, la raccolta fondi è un terreno minato…sbagliare vuol dire far perdere di credibilità al nostro lavoro…
Molti pensano che raccogliere monetine sia la stessa cosa che fare fundraising…o peggio..found raising….e la parte più difficile, almeno per me, non è gestire la consulenza ma spiegare al cliente le regole del gioco…
Speriamo bene!
A presto
Raffaele
Totalmente d’accordo, Raffaele: è la condivisione partecipata delle regole del gioco a rendere complesso (e a volte complicato) il rapporto di consulenza. Ma forse è anche questo – essere qui, in questo particolare momento, a poter lavorare in questo settore – a renderlo ancora più interessante e sfidante.
E sull’espressione found raising: non c’è verso…in uno degli ultimi corsi che ho tenuto con una collega abbiamo addirittura presentato una slide sull’espressione corretta e il suo significato letterale. Ma, appunto, è rimasta lì … 🙂
A presto!
Simona
Dobbiamo lavorare di semina…non ci sono altre soluzioni..