Assif, da oltre dodici anni, cerca di rappresentare in Italia la categoria dei fundraiser. A mio avviso, per quanti sforzi siano stati fatti, per quante energie profuse negli anni, a oggi, il quadro della situazione non è roseo. Purtroppo i soci sono pochi. Secondo gli ultimi dati, in Italia ci dovrebbero essere circa 2000 fundraiser e contando anche quanti operano nel settore, si arriva a 7000 figure professionali e quindi, a mio avviso, 174 soci (dato 2013), sono una percentuale ancora troppo bassa perché si possa rappresentare una categoria e fare anche lobby.
Negli anni il turn over nelle iscrizioni ha toccato percentuali alte…basti pensare che dal 2001, i soci che hanno rinnovato fino ad oggi la tessera sono soltanto tre. Io sono uno di questi. Moltissimi dei soci senior, purtroppo, sono andati via e questo non è un bene.
Nei tre anni di mandato ho cercato di fare quello che ho potuto, anche se le mie proposte non sono sempre state in linea con il pensiero della maggioranza del Consiglio Direttivo. Penso che un’associazione di “categoria”, per fidelizzare la sua base e ottenere nuovi soci, debba offrire molti e differenti servizi, tutelarne i membri, offrire occasioni di incontro, eventi formativi e informativi. All’estero, le nostre consorelle spesso sono organizzate così.
Alcune volte giovani colleghi mi hanno chiesto: “se entro in Assif, cosa ricevo?”. Tre dovrebbero essere le motivazioni per aderire a un’associazione di categoria: senso di appartenenza (e lobby), network e gamma di servizi offerti. Siamo riusciti, ieri e oggi, a offrire tutto questo?
Mi permetto di suggerire, a chi eleggerà il prossimo Consiglio Direttivo, tre cose:
- Eleggere un nuovo CD che mantenga al suo interno un paio di consiglieri del vecchio CD quale “memoria storica”
- I nuovi consiglieri, a mio avviso, dovrebbero avere esperienza, passione e tempo da dedicare all’associazione. Il loro obiettivo dovrà essere quello di tutelare l’associazione, evitando “conflitti di interesse”. Sarebbe meglio avere consiglieri con almeno tre/quattro anni di lavoro alle spalle e un buon network da mettere a disposizione dell’associazione
- Assif rappresenta sia liberi professionisti sia fundraiser dipendenti delle ONP. Credo che sia opportuno consentire l’alternanza e quindi eleggere, questa volta, un nuovo presidente che sia un fundraiser dipendente e donna
Ringrazio tutti i miei compagni di viaggio e faccio i migliori auguri al futuro che verrà!
Raffaele
Caro Raffaele, quanto affermi è la dimostrazione che lavorare per il bene comune è mestiere arduo e difficile. L’evoluzione del mondo non profit in atto tocca anche le associazioni di categoria, e questa è la dimostrazione. Fornire servizi è fondamentale per attirare soci, a livello territoriale e non solo, dare formazione e informazione, pretendere e certificare la formazione con i crediti come molte associazioni di categoria ormai fanno da tempo. L’obbligatorietà può essere fastidiosa ma è necessaria.
Ci manca la coesione, poi non lamentiamoci se ci vedono come quelli che stanno con il cappello in mano fuori dalla chiesa.
Personalmente sarei disposta a pagare un contributo più elevato per avere in cambio questo.
E’ fondamentale avere una categoria che ti rappresenta e promuove buone pratiche e si fa sentire quando è necessario.
Attirare i giovani, crescerli è scambio intergenerazionale, i più vecchi aiutano i giovani a crescere, crea cultura positiva.
Talvolta è necessario arrivare in fondo per poi risalire, mi auguro che sia così anche questa volta.
C’è bisogno di una avere una casa comune.
Inshalla! buon cammino Raffaele.
Cara Daniela, grazie per aver risposto. La mia è una riflessione a conclusione di un percorso, che vuole offrire spunti a chi farà parte del prossimo direttivo di Assif. Concordo con te sulla necessità di fare maggiormente “gruppo” sia a livello nazionale sia a livello territoriale.
Caro Raffaele,
come preannunciato, ecco qua una riflessione (scusa la lunghezza!) che facevo anch’io nei giorni scorsi.
Anche a me è capitato di sentirmi chiedere, all’interno del gruppo territoriale, il perché di un’adesione e i “benefit” derivanti dall’essere parte di Assif. La mia risposta è sempre stata che occorreva partire dal capire cosa noi (fundraiser, interni e professionisti esterni) avremmo potuto fare per rafforzare l’associazione e costruirla sull’immagine di un fundraising partecipato, in primo luogo dai suoi rappresentanti.
Dopo un paio d’anni, però, penso che qualche difficoltà ci sia stata in questo senso.
Il fatto che ci sia un tasso di attrattività e di caduta così alto qualcosa deve dirci. Probabilmente l’immagine dell’associazione come entità al servizio del fundraising e dei fundraiser non è così immediatamente percepibile, così come non “si nota” la voce di Assif in tutte quelle situazioni in cui sarebbe stato opportuno sentirla – mi riferisco allo “scippo” del 5 per 1000, o alla pubblicazione del libro “L’industria della carità”. Indipendentemente da come la si pensi in proposito, a me (in quanto socia) avrebbe fatto piacere sentire come la “mia” associazione rappresenta una posizione da insider del tema.
Così come mi avrebbe fatto piacere una maggiore attenzione ai temi della cultura del fundraising, con un’apertura all’esterno (ci lamentiamo che non ci conoscono, ma come fanno a conoscerci se non ci comunichiamo? E non è questo quello che insegniamo alle organizzazioni?) ma anche con occasioni formative interne realizzate sotto la forma del mentoring da senior a junior, per far crescer chi si affaccia al mondo del fundraising.
Io credo che il ruolo di Assif sia fondamentale, e mi auguro che – pur nella comprensione di quanto sia difficile cambiare le cose in Italia – un cambio di passo sia possibile. 3 anni sono un tempo breve per realizzare progetti ambiziosi, ma qualche passo in avanti è possibile farlo, anche dal punto di vista dell’identità che l’associazione intende rappresentare (che, lo dico con onestà, non è più così chiara neppure a me che ho cercato di seguire il più possibile le attività).
Sicuramente l’esperienza di organizzazioni straniere aiuta: riprendendo uno slogan visto al Festival del Fundraising, dire “tanto da noi non funziona” credo sia un modo non corretto di affrontare le questioni. Traiamo spunti e rendiamoli adatti al nostro Paese, concentriamoci sui contenuti e sul coinvolgimento, facendo in modo che il “perché dovrei aderire a questa associazione” abbia una risposta partecipata non solo per 174 persone ma per molte di più.
Grazie per queste riflessioni…e in bocca al lupo al nuovo consiglio!
Cara Simona, grazie per il tuo commento. Penso che il confronto sia necessario per crescere e per capire cose serve e cosa non serve all’associazione. A presto!
Eccomi. Il problema per me, caro Raffaele, è che l’identità e la missione di Assif non sono chiari o meglio è un ameba: un po’ professional, un po’ social, un po’ servizi, un po’ cultura del fundraising, un po’ regolatore del settore un po’ occasione per promuovere attività professionali. Senza essere in modo definito e convicnente nulla di tutto ciò. Credo che la poca consistenza della base associativa sia legata sicuramente a questa scarsa identità e forse anche ad una certa insensibilità di parte del mondo dei fundraiser. Ma soprattutto dalla mancanza di un vero progetto politico. Io personalmente l’ho chiesto questo progetto già il giorno dell’elezione della nuova governance. E mi ero offerto di andare ing iro, pur non avendo carica, a portare in giro una forte missione sociale del fundraising per raccontare l’importanza di una associazione a quelle migliaia di fundraiser di fatto che non avevano percepito assif. Ma non è venuta nulla di tutto questo. SOlo cose, interessanti se vogliamo,ma marginali, mai centrate sui veri grandi problemi. Mi stupisce a tale proposito, la totale assenza di Assif sulla questione del civil act di Renzi che potrebbe e forse potrà cambiare molte regole del fudnraising in Italia. Ecco perchè abbiamo un Assif debole ed ecco perchè non ci saranno prospettive di crescita basate solo sulle intenzioni e la buona volontà. Lo insegniamo alle oranizzazioni che senza mission e senza progetto sociale non c’è neanche fundraising. Perchè dovrebbe essere diverso per Assif? Mi permetto di considerare che la strada di un magior rapporto e integrazione con le organizzazioni non è la strada di assif che invece dovrebbe rappresentare i professionisti. Le organizzazioni devono avere un’altra rappresentanza. Sarebbe il Forum o i CSV. Ma è un’altra storia questa. Anch’essa densa di debolezze pià che di forze. ANzi temp che un Assif molto legato alle organizzazioni (magari quelle grandi) rischi di essere magari più efficace su lobby ma sicuramente pià vincolata alle logiche del vantaggi per le organizzazioni e meno alle logiche del bene comune. E’ una storia che in parte abbiamo già vissuto con vari summit di solidarietà e vari raggruppamenti di ong. Personalmente non mi intereserebbe proprio. Dobbiamo pensare che se abbiamo 300.000 organizzazioni e 40.000 tra scuole biblioteche ospedali noi abbiamo 400.000 potenziali fundraiser che costruiranno il nuovo welfare. Questa è una sfida. Questa è una missione che ha valore per i nostri stakeholder. Non certo quella del circolo 100 amici che si sentono e si vedono sempre gli stessi tra facebook, twitter, le riunioni di assif (sempre piene di partecipazione!) e il festival del fundraising. Con grande franchezza ecco la mia spassionata opinione per il bene di tutti e non per per il bene mio o delle mie attività professionali.
Caro Massimo, grazie per il tuo intervento. Credo che sia necessaria una maggiore azione di lobbing, maggiori servizi per gli associati e una visione “politica” nuova e più incisiva.
Caro Raffaele, mi trovi d’accordo. Aggiungo il mio pdv qui e invito i tuoi lettori a leggere le motivazioni. Ti abbraccio
http://elenazanella.it/2014/05/25/assif-20112014-lora-della-resa-dei-conti-si-riparte/
[…] letto con estremo interesse il post del collega Raffaele Picilli. Ci siamo trovati più volte a discutere su cosa avremmo voluto, su cosa si sarebbe dovuto fare, su […]
Grazie Elena, spero che tutte queste riflessioni aiutino l’associazione a crescere.