Questo è l’articoli n°100 che il blog ospita su #fundraising e #politica! E’ stato pubblicato da Competere.eu ed è a firma di Marina Ripoli e Raffaele Picilli
Cosa è cambiato dall’approvazione della Legge 13/2014 sull’abolizione del finanziamento pubblico diretto? Cosa è cambiato nell’approccio dei partiti e movimenti politici italiani verso le proprie modalità di autofinanziamento? Hanno scelto la strada del fundraising?
La quinta edizione dell’indagine comparativa “Fundraising per la politica in Italia, Regno Unito e Stati Uniti d’America” – di Raffaele Picilli e Marina Ripoli e a cura del Centro Studi sul Nonprofit, Raise the Wind, Costruiamo Consenso e Competere – offre una risposta a queste domande.
Fin dal 2010 monitoriamo infatti il grado di adozione delle tecniche di fundraising da parte dei partiti e movimenti ita¬liani. L’edizione presentata lo scorso 5 ottobre alla Camera dei Deputati ha considerato in particolare un confronto tra i dati rilevati nel 2013 e quelli registrati nel 2016.
Risulta infatti interessante raffrontare due periodi molto diversi tra loro. La rilevazione dell’ottobre 2013 risentiva già del clima anti-casta, era già legge il taglio del 50% che ridusse a 91 milioni di euro i contributi pubblici ai partiti (Legge 96/2012), ma da soli cinque mesi era iniziato l’iter di discussione in Parlamento del disegno di legge che avrebbe poi abolito il finanziamento diretto della politica.
Al momento della rilevazione 2016 sono invece trascorsi due anni dal varo della legge e mancano poche settimane allo scoccare del taglio definitivo dei rimborsi elettorali, taglio ad oggi già giunto al 75% dopo le riduzioni a colpi di 25% dei due anni precedenti.
In parole povere il 2017 è dietro l’angolo e i partiti avranno sicuramente preso delle misure per far fronte alla sfida della creazione di un sistema di autofinanziamento virtuoso e diffuso. Invece no. È stato registrato un miglioramento e un aumento nelle percen¬tuali di utilizzo delle tecniche di raccolta fondi rispetto al 2013, ma resta ferma la scarsa adozione dei veri principi del fundraising. I partiti e i movimenti politici hanno infatti organizzato in qualche modo una risposta a tale sfida, ma sono stati spinti dai tagli e dalle nuove regole imposte dalla Legge 13/2014 e si stanno adeguando a quest’ultima con lentezza e senza una programmazione ad ampio raggio.
Eppur qualcosa si muove… La ricerca ha rilevato un incremento della percentuale dei soggetti che adottano al¬meno una tecnica di fundraising, passata dal 45% del 2013 al 100% del 2016. Quest’anno l’88% ha adottato fino a due tecniche di rac¬colta fondi e il 59% ne ha utilizzate almeno tre.
Rispetto al 2013 è aumentata anche la percentuale di partiti/movimenti politici che raccoglie i dati dei propri donatori passando dal 25 al 94%. Inoltre, negli ultimi mesi abbiamo assistito ad un alto grado di aggiornamento dei siti web dei soggetti politici analizzati, siti che hanno migliorato o accolto nuove sezioni dedicate alla trasparenza, al 2xmille e alla raccolta di donazioni.
Tutto bene allora?
Questi dati sono solo apparentemente positivi perché non garantiscono che il fundraising sia stato realmente utilizzato. I numeri emersi dall’indagine registrano una maggiore specializzazione rispetto al 2013, ma si è trattato principalmente di semplici raccolte fondi che non mirano alla periodicità delle donazioni né a creare un rapporto duraturo con il donatore.
Il fundrasing non può essere definito come una serie di tecniche da utilizzare occasionalmente per necessità finanziarie, si tratta al contrario di una vera e propria strategia comunicativa per la partecipazione politica, un insieme di azioni strategiche “permanenti” e regolari utili a ricercare un nuovo e più forte legame con i cittadini. Una concezione del fundraising che va perciò al di là della funzione utilitaristica e a breve termine della semplice raccolta fondi.
Restano basse ad esempio le percentuali dei partiti che ricorrono a tecniche che implicano una maggiore interazione o basate su un forte rapporto identitario. Soltanto il 24% dei partiti presi in esame offre la possibilità di svolgere attività di volontariato organizzato, appena il 12% punta sulla vendita di gadget e shop online e solo il 7% dei partiti e movimenti analizzati fa ricorso propriamente al crowdfunding per il finanziamento di progetti e attività.
Nel 100% dei casi sono i social network (principalmente Facebook e Twitter) il mezzo più utilizzato dai partiti e dai movimenti politici analizzati per comunicare con i propri sostenitori. Solo il 35% del campione dispone di intranet, strumenti di comunicazione interna e com¬munity ufficiali. Sui siti web dei soggetti politici analizzati solo il 47% offre la possibilità di iscriversi alla newsletter di partito e solo il 12% dispone di form in home page per l’iscrizione.
Si punta troppo sulle potenzialità della raccolta fondi sul web, potenziando il ricorso a sistemi di pagamento online, ma si dimentica che anche se Internet offre applicazioni eccellenti per sostenere e migliorare un programma di fundraising, non vi è nulla che possa sostituire i metodi classici e il contatto personale con un donatore.
Si guarda al 2xmille come la panacea di tutti i mali, ma solo il 41% del campione analizzato lo pubblicizza in modo efficace, e da solo non è sufficiente al completo autofinanziamento e non permette una fidelizzazione del donatore nel lungo periodo.
Sono pochi gli esempi di chi ha istituito o già aveva al suo interno un ufficio fundraising. Eppure gli strumenti da poter mettere in campo ci sono e potenzialmente sono validissimi. Il fundraising per la politica è una strada da percorrere per accrescere il capitale di risorse e di consenso di un soggetto politico in un’ottica integrata, relazionale e secondo opportune strategie di comunicazione politica. In questo senso, trasparenza, coerenza, accountability rappresentano i pilastri necessari di una comunicazione politica orientata al fundraising, intesa come formula di mobilitazione ri‐costruttrice di fiducia.
Ma di quale trasparenza parliamo in assenza di regolamentazioni sulle fondazioni e sulla rappresentanza di interessi? Un quadro normativo completato dall’aggiunta di queste regole permetterebbe una migliore e più efficace adozione delle tecniche di fundraising ma soprattutto riavvicinerebbe i cittadini alla politica e aiuterebbe un sistema come quello italiano povero di fiducia.