Una nuova ricerca pubblicata da New Survey rivela che il 51% dei fundraiser americani pensa di lasciare il proprio lavoro entro due anni. I motivi? Troppa pressione per raggiungere obiettivi di raccolta fondi non realistici, insieme ad una retribuzione insufficiente e culture organizzative frustranti.
Sono stati intervistati, attraverso un questionario online, 1.035 fundraiser sia negli Stati Uniti e sia in Canada. I risultati non sono certo entusiasmanti. Questa ricerca segue una prima del 2013. A dire dei ricercatori, purtroppo poco o nulla è cambiato in cinque anni.
Leggendo il documento, due percentuali fanno riflettere:
- L’84% dei fundraiser ha dichiarato di aver subito “fortissime pressione” per portare a casa risultati
- Il 55% ha dichiarato di “sentirsi spesso poco apprezzato” nel proprio lavoro.
Il primo dato è sicuramente allarmante perché i “risultati da portare a casa” potrebbero far perdere di vista buona causa, la mission e “qualità” del donatore. Non tutte le donazioni e non tutti i donatori possono andare bene e un professionista del fundraising lo sa bene. Nel caso del fundraising si potrebbe dire che “Parigi non vale una messa”.
Il secondo dato, a mio parere, è legato ad un problema di “asimmetria informativa”. Spesso il cliente ( l’organizzazione nonprofit o l’ente pubblico) non conosce tutto il lungo e faticoso processo lavorativo che porta ad una donazione. Questo fa si che il fundraising sia confinato ad una semplice e banale “raccolta di monetine”. L’Italia è poi tanto lontana dal Canada o dagli Stati Uniti?