Art Bonus: il passato, il presente e il futuro

 

Pubblico una mia breve analisi sullo stato dell’Art Bonus che farà parte di una ricerca sullo sviluppo di questo strumento. 

Negli ultimi decenni, nel nostro Paese, le donazioni a sostegno dei progetti culturali sono sempre state inadeguate rispetto alle necessità.

Le prime ricerche sull’attitudine degli italiani al dono, raccontavano una situazione non certo buona per chi si occupava di fundraising per la cultura. Di solito, l’ultimo o il penultimo posto della classifica delle preferenze erano occupate dalla cultura. Oggi quella classifica non è cambiata molto ma lo sono, per fortuna, il numero e le cifre delle donazioni raccolte. I numeri sono cresciuti, sicuramente, anche grazie all’Art Bonus e ad una maggiore sensibilizzazione verso il settore. Si è capito che il nostro enorme patrimonio culturale (i musei e le aree archeologiche sono quasi 5000) non può essere sostenuto solo con fondi pubblici.

Molti sono i modi per finanziare, con fondi privati, la cultura e le sponsorizzazioni sono in prima linea. Alcuni ricorderanno la maxi sponsorizzazione di Della Valle a sostegno della ristrutturazione del Colosseo oppure operazioni simili con la Piramide Cestia di Roma, la fontana di Trevi o la facciata della Cattedrale di Palermo. Purtroppo, in molti casi, non sono mancate le polemiche. Una su tutte quella per il rifacimento della facciata della Cattedrale di Palermo: non era “elegante” che una compagnia telefonica mettesse il suo logo sulla rete di protezione che ricopriva la facciata della Cattedrale. La medesima operazione era stata fatta, anni prima, a Barcellona e con grande successo (anche in quel caso il finanziatore era una compagnia telefonica).

Poi ci sono le donazioni, le erogazioni liberali, le partnership, l’art bonus e i mecenati. Non va fatta confusione tra benefici economici derivanti da sponsorizzazioni, donazioni e art bonus. Hanno profili differenti e concedono differenti benefits.  Per esempio, l’azienda che utilizza l’Art Bonus per sostenere un progetto culturale non può pretendere i benefici fiscali e di immagine che si hanno facendo una sponsorizzazione.

L’art bonus nasce nel 2014 per incentivare le donazioni verso la cultura, ma solo quella di proprietà del settore pubblico. Per essere precisi: “manutenzione, protezione e restauro di beni culturali pubblici, sostegno degli istituti e dei luoghi della cultura di appartenenza pubblica e realizzazione di nuove strutture, restauro e potenziamento di quelle esistenti, di enti o istituzioni pubbliche che, senza scopo di lucro, svolgono esclusivamente attività nello spettacolo”.

Funziona davvero l’Art Bonus? Dipende dalle aspettative che si hanno e dal tipo di investimento che si è disposti a fare per rendere noto e interessante il progetto da finanziare. Raccontare un progetto, renderlo vivo, raccontarlo alle aziende, incontrare gli imprenditori, essere disponibili a dare informazioni, chiarire dubbi, fornire materiali dedicati al progetto è molto diverso e molto lontano dal semplice inserimento del progetto sul portale dell’Art Bonus. Non si ricevono soldi per il semplice fatto di aver presentato un progetto. Si ricevono fondi se si chiedono per il progetto giusto, alla persona giusta, nel momento giusto.

Quanti Enti Pubblici sono in grado di farlo in Italia? Quanti si affidano a consulenti esterni per farlo? Quanti hanno personale interno preparato o formato ad hoc?

L’Art Bonus potrebbe portare risultati maggiori se venisse utilizzato in maniera efficace e questo succede ancora poco. La mappa del sostegno attraverso l’Art Bonus racconta che questo non è omogeneo nel nostro Paese. Racconta che spesso le Istituzioni non riescono a comunicare un progetto o peggio, chiedono fondi per quattro, cinque anche dieci progetti insieme, senza riuscire ad orientare il possibile donatore.

Chi sostiene le Istituzioni attraverso l’Art Bonus è spesso un’azienda o un grande donatore. Con questi non è possibile comunicare come con i singoli donatori. I tempi, le tecniche, le motivazioni, gli incentivi devono essere diversi anche perché le somme donate sono diverse, spesso molto alte.

A mio avviso, è questo il gap da far superare alle Pubbliche Amministrazioni. C’è bisogno di investire sulla comunicazione e sulla professionalizzazione di chi dovrà seguire la raccolta dei fondi. Se non è possibile trovare risorse umane interne, allora le Istituzioni dovranno rivolgersi a professionisti esterni (in questo caso fundraiser) che spesso hanno maggiori margini di manovra e riescono ad anticipare le richieste delle aziende perché ne conoscono le esigenze, i tempi e gli obiettivi.

Fare fundraising è molto diverso dal raccogliere fondi.